Il primo e più importante resort post-carbon al mondo, un’isola a zero emissioni in cui le tecnologie innovative consentono di ospitare visitatori, i residenti e la ricerca scientifica

Di Emanuele Bompan, da Tetiaroa (Polinesia francese)

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Tetiaroa è da sempre un’isola sacra per la popolazione della Polinesia Francese. Nell’angolo più lussureggiante e magico dell’atollo fu creato, centinaia di anni or sono, un santuario, rituale e tabù, dove si diceva che gli dei e gli antenati scendessero sulla terra per visitare i marae (templi), i luoghi dell’arcipelago dove si riunivano tradizionalmente i clan e si seppellivano i morti.
Tetiaroa era anche il luogo di riposo favorito dei regnanti di Tahiti. Mentre i ma’ohi (giovani capi) gareggiavano in tornei di tiro con l’arco e affinavano le loro abilità belliche, le arii vahine (principesse) si ritiravano nell’ombra profonda delle palme da cocco per farsi coccolare o fare un bagno nelle azzurre acque in compagnia delle mante e delle tartarughe. Questi erano i sacri giardini del piacere dell’aristocrazia tahitiana.
Nel Novecento l’isola ha rischiato di essere distrutta, vittima della brama immobiliare dei francesi, che de facto hanno sovranità sulla Polinesia dal 1843, quando la regina Pomare IV fu costretta ad accettare il protettorato di Parigi.

 

L’era Brando
A salvarla è stato l’attore Marlon Brando, arrivato per la prima volta a Tetiaroa durante le riprese de “Gli ammutinati del Bounty” (1962), subito incantato dalla rara bellezza dell’isola e dal senso. «Un luogo vicino al paradiso», amava definirla Brando, affascinato dallo stile di vita polinesiano – e dalla protagonista Tarita – terza moglie dell’attore e amore della sua vita.
Brando era un fervido conservazionista, amava la bellezza naturale, la biodiversità e la ricchezza culturale di Tetiaroa ed era determinato a trovare un modo in cui l’isola potesse essere un centro di ricerca e d’istruzione, diventando un modello di sostenibilità globale. «Sono convinto che questa isola possa portare del bene in tutto il mondo», era solito dichiarare.

Nel 1999 chiese a Richard Bailey, un residente di lunga data di Tahiti che condivideva la passione di Brando per l’ambiente e che aveva creato alcuni dei migliori hotel della regione, di aiutarlo a realizzare il primo e più importante resort post-carbon al mondo, un’isola a zero emissioni in cui le tecnologie innovative consentano di ospitare visitatori, i residenti e la ricerca scientifica.

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Il resort
Oggi The Brando Resort è una realtà. Inaugurato nel 2014, offre trentacinque ville private situate lungo la costa Motu Onetahi arretrate rispetto alla spiaggia per la massima privacy. Ogni residenza è stata accuratamente progettata con arredi confortevoli e comodità di lusso ma nel pieno rispetto dell’uso di materiali naturali locali. Sebbene siano sempre di più gli hotel eco-sostenibili, the Brando è assolutamente irraggiungibile per qualità e visione, un esempio di economia circolare applicata a scala insulare.

«L’intera struttura è certificata LEED Platinum, il riconoscimento più alto dell’organizzazione, Green Building Council», spiega Boris Kopek, responsabile sostenibilità di The Brando, mentre ci aggiriamo in bici per le zone di gestione della struttura, dove vivono gli abitanti locali, lo staff e i ricercatori della Tetiaroa Society, il centro di ricerca dell’isola. «I nostri clienti si spostano in bicicletta o su cart alimentati da energia solare per compensare una parte delle emissioni legate al viaggio», continua. Lo scopo finale, infatti, è di decarbonizzare interamente la vita sull’isola Tetiaroa: ove non è possibile si comprano titoli di compensazione emissioni, suggeriti anche per i voli dei clienti.

L’energia
Dal punto di vista energetico l’infrastruttura architettonica è unica. Uno dei gioielli è il sistema Sea Water Air Conditioning (SWAC), che sfrutta il freddo naturale immagazzinato nelle acque oceaniche profonde. Piccoli tubi pescano acqua a una profondità di circa 930 metri, a una temperatura di 5°C, che attraverso pompe ad alta efficienza viene distribuita in tutta l’isola per il raffrescamento. «Era una visione di Marlon Brando stesso, racconta Boris Kopek. La società di Richard Bailey, Pacific Beachcomber, ha quindi ideato, sviluppato e installato il primo sistema di climatizzazione al mondo utilizzando SWAC. In media in Polinesia Francese il 60% dei consumi converge nei sistemi di raffrescamento. Impiegando SWAC, the Brando è in grado di ridurre del 90% il totale (una parte è necessaria per alimentare le pompe).

Gran parte dell’energia solare deriva da un impianto fotovoltaico lungo la pista di atterraggio alimentato da 3.744 pannelli, sfruttando in maniera intelligente uno spazio tipicamente inutilizzato, mentre pannelli termici raccolgono calore per l’acqua calda dell’intera isola.
Per compensare i momenti di carenza dell’energia solare – nonostante i numerosi sistemi di accumulo – una centrale elettrica a olio di cocco (biocarburante) fornisce l’altra metà del fabbisogno energetico del resort.
Non si butta via niente
«Per la gestione dei rifiuti abbiamo creato un centro speciale», spiega Kopec. «Raccogliamo e differenziamo ogni cosa, sempre attenti a ridurre ogni spreco o consumo superfluo. Questa è un’isola remota e la gestione dei rifiuti può essere onerosa. Dobbiamo scegliere prodotti con meno packaging possibile. Grazie ad un digestore trasformiamo gli scarti alimentari in compost». Materiale che serve ad alimentare l’immenso orto sito al centro dell’isola. «Dato il suolo sabbioso, abbiamo creato il suolo fertile da zero», continua Kopec. Qua sono coltivati zucchine, pomodori, insalata, aromi, cipolle fagioli, eccetera, utilizzati nei due ristoranti, Beachcomber Cafè e Les Mutinés by Guy Martin. Per promuovere la sostenibiltà alimentare viene offerto anche un menu vegan, creato dallo Chef Kelvin Au-Ieong, noto per il suo Invitation V, di Montreal,  uno dei migliori vegan bistrot al mondo. Dispersi sull’isola 40 alveari producono oltre 100 kg di miele, impiegato nei dolci e per le colazioni dell’hotel. Capita sovente di trovare dei granchi del cocco intorno agli alveari o nidi di tartarughe. Segno che la biodiversità dell’isola è ben preservata.
Anche l’impatto idrico è positivo. L’efficienza idrica è sostenuta innanzitutto dall’utilizzo di piante indigene. Mentre il 100% dell’acqua è riciclato con un basso consumo di energia, con un sistema basato sulle maree. Per alimentare l’orto si usa solo acqua piovana e quella di scarto, opportunamente trattata.

«Anche i materiali delle costruzioni sono interamente pensati per il benessere della persona», spiega Kopec mentre passiamo vicino alla Spa Varua, realizzata con facciate in legna intrecciate a nido d’uccello e sospese su uno stagno nel cuore dell’isola. Legno certificato FSC; materiali locali, pietra, grande spazio alla ventilazione per veicolare l’aria carica di iodio. La salubrità degli spazi è immediatamente evidente.

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Poter passare un weekend in questo resort non è solo un’esperienza immersiva nella bellezza della Polinesia, andando in canoa in uno dei mari più belli del mondo o bevendo un succo di mango sulla spiaggia osservando il tramonto.
The Brando offre un’esperienza di consapevolezza (agli ospiti è offerto un tour di due ore per conoscere la sua mission ambientale) che rivela che è possibile realizzare rigenerazione dell’ambiente attraverso l’architettura, riscoprendo i servizi naturali e pensando in una nuova ottica, naturale e conservazionista, nel rispetto delle culture locali.