Parte della vecchia raffineria oggi è diventata un centro di produzione di biocarburanti e bioplastiche, partendo da prodotti agricoli locali come il cardo. Il progetto sardo di Eni e Novamont, tra dubbi e entusiasmi

 di Stefania Divertito

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Porto Torres è oggi la fotografia del suo passato e contemporaneamente l’ologramma del futuro immaginato e programmato. È sulla linea di confine tra sviluppo e promesse mancate.

Dalla pista ciclabile che costeggia la città, guardiamo verso Sud e in lontananza svettano i camini ormai spenti della sua raffineria. Oggi la città non può prescindere da quei 1200 ettari di inquinamento e incuria su cui però faticosamente si sta costruendo un progetto di nuovo sviluppo che qui, come a Gela e a Marghera, potrebbe portare innovazione, lavoro e futuro.
Porto Torres è un Sin (Sito di Interesse Nazionale) con bonifiche ancora ferme, ma in una porzione di quei 1200 ettari si sta realizzando un progetto per molti versi sperimentale, ma con un nome che sa di antico: Matrìca, che in sardo significa madre, matrice. Le società promotrici del progetto sono Eni e Novamont che, «Fondendo il meglio di entrambe le esperienze in una singola entità sono state in grado di creare una gamma inedita di prodotti da materie prime rinnovabili e a basso impatto ambientale». Su questa meravigliosa bioraffineria, aleggiano però alcuni dubbi come la recente decisione di Eni di cedere quote importanti di Versalis (la direzione che si occupa appunto di chimica verde) al fondo americano SK Capital. Un fondo che secondo i sindacati non dà garanzie.

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