Nell’ultimo rapporto IPCC la Nuova Zelanda ha chiesto e ottenuto più equilibrio nell’uso della terminologia legata alla dieta efficace da seguire per contrastare la riduzione di emissioni climalteranti.
Le parole sono importanti e su questa scia i rappresentanti della Nuova Zelanda hanno chiesto la sostituzione della raccomandazione di diete “plant-based” (a base vegetale) con “diete sane e sostenibili” nell’ultimo rapporto Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) sul cambiamento climatico. A farle compagnia India e Kenya, che si sono battute per rimuovere il riferimento alle diete vegane e vegetariane, mentre Germania e Svezia si sono opposte alla mozione, senza però avere la meglio.
L’IPCC, creato nel 1988 dalle Agenzie delle Nazioni Unite UNEP (UN Environmental Program) e WMO (World Meteorological Organisation), ha il compito di redigere a scadenza regolare i rapporti di valutazione sulle conoscenze scientifiche legate al cambiamento climatico, ai suoi impatti, ai rischi connessi, e alle soluzioni per la mitigazione e l’adattamento. Si tratta di un processo laborioso che termina in un report minuzioso, accompagnato da un “Riassunto tecnico” che mette in evidenza i punti salienti e da un breve “Sommario” a uso dei responsabili politici dei paesi associati all’ONU, nei quali sono condensate le informazioni analizzate nel dettaglio nel lavoro completo.
Nuova Zelanda, Kenya e India:non esagerare con le raccomandazioni di diete a base vegetale
Il termine “plant-based” è sovra-utilizzato nell’ultimo rapporto IPCC, mentre nella sintesi è menzionato una sola volta. Questo perché i rappresentanti di Nuova Zelanda, Kenya e India hanno chiesto di non esagerare con le raccomandazioni di diete a base vegetale, ma di spingere sull’importanza di un’alimentazione sostenibile ed equilibrata in grado di “promuove tutte le dimensioni della salute e del benessere degli individui; con un basso impatto ambientale; accessibili, convenienti, sicure ed eque; culturalmente accettabili, come sottolineato dalla FAO e dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il concetto correlato alle diete bilanciate si riferisce a diete che includano sia alimenti a base vegetale, come quelli a base di cereali, legumi, frutta e verdura, noci e semi, che alimenti di origine animale sostenibili e a basso contenuto di gas a effetto serra”.
L’uso appropriato delle parole è stato difeso dal portavoce del Ministero dell’Ambiente neozelandese, il quale ha osservato che “diete sane e sostenibili” è una definizione ampiamente accettata e utilizzata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura e dall’Organizzazione mondiale della sanità, su cui tutti i Paesi hanno concordato”. In questo modo ha respinto l’accusa mossa al suo governo di remare contro la salvaguardia del Pianeta. Ciò che Nuova Zelanda, India e Kenya hanno ottenuto è un maggiore equilibrio nella promozione di diete efficaci per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, che coincidono con l’alimentazione sana e sostenibile, ma non vegana o vegetariana.
Gli alimenti alternativi alla carne
Il mercato delle proteine alternative è in rapida crescita, eppure non è la panacea di tutti i mali. Lato economico, è una strada costosa e ce ne possiamo rendere conto già solo osservando i prezzi degli alimenti vegani nel banco frigo dei supermercati: un finto hamburger è molto più caro rispetto a uno vero, ipotizzare una dieta su larga scala è irrealistico.
Puntare sui sostituti vegetali della carne riduce di poco il proprio impatto ambientale. A metterlo nero su bianco è un recente studio, “Impact of plant-based meat alternatives on cattle inventories and greenhouse gas emissions”, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Research Letters: aumentando il consumo delle alternative vegetali alla carne, ci sarebbe una riduzione solo dello 0,34% delle emissioni di gas a effetto serra. Ben vengano quindi le diete equilibrate, sane e sostenibili basate su alimenti prodotti con un basso impatto ambientale.