Limitati avanzamenti durante i negoziati preparatori per il summit del Clima di dicembre a Parigi, conclusisi venerdì sera. I delegati hanno lasciato Bonn venerdì sera con la sensazione di progressi limitati. Solo 5 giorni effettivi di negoziato, durante il prossimo ed ultimo incontro preliminare, rimangono per produrre un testo da portare a Parigi per salvare il clima della terra.
Ottimisti i presidenti del round negoziale. «Questo negoziato appena concluso è stato fondamentale per fare chiarezza su obiettivi e sul processo», ha spiegato Dan Reifsnyder, il co-chair americano dell’UNFCCC. «Arriveremo a Parigi in tempo», ha confermato il collega algerino Ahmed Djoghlaf. Fondamentale secondo i due chair aver messo in chiaro tutte le posizioni e aver reso un poco più agevole il percorso di approvazione di un accordo.
Ma rimane aperta la domanda: questo accordo sarà forte abbastanza per ridurre le emissioni di gas climalteranti e mantenere l’aumento medio sotto il tetto dei 2°C?
«In questa settimana si è lavorato su tre blocchi di testo», spiega Federico Brocchieri, esperto di negoziati dell’Italian Climate Network, un’organizzazione con la finalità di rendere trasparenti e comprensibili i negoziati sul clima. «Nella prima bozza di testo da negoziare si va tracciando l’accordo vincolante, quello che dovrebbe essere firmato a Parigi. Nella seconda parte la COP Decision (il testo con i contributi volontari e tutte le decisioni d’implementazione che verranno applicate nei prossimi anni, nda) e infine, nella terza parte, tutti gli elementi rimasti fuori che entro la prossima sessione dovranno essere ridistribuiti nei due blocchi sopramenzionati».
Ma se l’obiettivo era quello di snellire il testo negoziale quanto più possibile e di allinearlo con gli obiettivi proposti, certo non si può dire che sia stato completamente raggiunto.
Perdurano ancora differenze su questioni che molti pensavano superate. L’Arabia Saudita, da sempre uno dei principali oppositori ai negoziati del clima, hanno posto nuovamente il veto all’inserimento dell’obiettivo dei 1,5/2°C, come incremento massimo di temperatura legato al global warming. Nigeria e Sud Africa sono stati durissimi sullo stato di avanzamento del negoziato, mentre il blocco G7+Cina rimane critico su MRV, i meccanismi di misurazione e verifica dei tagli emissioni nazionali e chiede chiarezza sulle fonti di finanziamento per il Green Climate Fund, il fondo da 100 miliardi di dollari l’anno che dal 2020 servirà ad alimentare una transizione globale verso un’economia low-carbon. Progressi rilevanti si segnalano solo a riguardo del meccanismo loss&damage, un fondo per aiutare i paesi colpiti da disastri naturali legati al cambiamento climatico (eventi meteo estremi, innalzamento del livello del mare), sul quale i delegati hanno trovato una certa convergenza, segno che potrebbe essere definitivamente lasciato nel testo finale.
L’empasse però spaventa molti, dopo la recente ondata di ottimismo.
«Molti paesi, visto il rallentamento dei lavori hanno chiesto di poter convocare il segmento di alto-livello a Parigi, con ministri e capi di stato nei primi giorni del summit», continua Brocchieri.
«In questo modo si potrà trovare un accordo politico, in modo da lasciare i restanti 7-9 giorni per negoziare il finale sulle linee guida dettate dai ministri. Che senso avrebbe farli venire dopo?».
Anche i francesi, che vorrebbero una rivoluzione e potrebbero invece trovarsi una Waterloo, fanno pressione per cercare almeno la quadra politica. Il ministro francese Laurent Fabius stesso ha richiesto di considerare la possibilità di un incontro ministeriale di alto livello pre-summit. Possente incombe lo spettro di Copenhagen 2009.
Su Bonn inoltre si è scatenata una tempesta inaspettata. Secondo i calcoli svolti dal centro di ricerca Climate Action Tracker gli INDC, gli impegni volontari proposti dai singoli stati, al momento sono sostanzialmente insufficienti.
Lo studio, reso noto al vertice sul clima negli scorsi giorni, rivela che le misure fin qui adottate porterebbero ad un aumento medio della temperatura compreso fra i 2,9 e i 3,1 gradi centigradi. Altro che tetto dei 2°C.
Per poter rispettare l’obiettivo i governi dovrebbero ridurre le emissioni di almeno altre 12 gigatonnellate equivalenti di CO2 entro il 2025, e di almeno 17 gtCo2eq entro il 2030.
Se siete interessati ad un approfondimento sui piani proposti, INDC, saranno analizzati in dettaglio sul numero cartaceo di ottobre-novembre di BioEcoGeo.