Legambiente: “Se continuiamo di questo passo rincorreremo sempre le emergenze. Il Governo definisca una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo che favoriscano l’adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione di prelievi e di sprechi d’acqua fin da subito”
Laghi e fiumi in forte sofferenza, quasi in secca come la scorsa estate, mentre in montagna è scarsa la neve accumulata.
È quanto sta accadendo in Italia, a metà febbraio, complice l’aumento delle temperature superiori ai valori di riferimento, le scarse precipitazioni e a una crisi climatica che non guarda in faccia a nessuno.
Il risultato è una nuova ondata di siccità, o meglio un’emergenza siccità in realtà mai finita, denuncia Legambiente, con corsi d’acqua che hanno raggiunto uno stato di severità idrica “media” in tre delle sette autorità di distretto secondo gli ultimi bollettini emanati dalle stesse in questi ultimi mesi.
Ossia il distretto idrografico del Fiume Po, quello dell’Appennino settentrionale e quello dell’Appennino centrale. Preoccupante anche la carenza di neve, con il 53% in meno sull’arco alpino, e in particolare il bacino del Po, con un deficit del 61%. (Fonte, CIMA Research Foundation).
Per questo l’associazione ambientalista lancia un appello al Governo Meloni, indicando le priorità da mettere in campo a partire dalla definizione di una strategia nazionale idrica, strutturata in otto punti, che abbia un approccio circolare con interventi di breve, medio e lungo periodo che favoriscano da una parte l’adattamento ai cambiamenti climatici, e dall’altro permettano di ridurre da subito i prelievi di acqua evitandone anche gli sprechi.
Non sono più ammessi ritardi. Bisogna cominciare a prevenire “l’emergenza idrica” che caratterizzerà sempre di più il nostro territorio smettendo di pensarci solo quando il danno è già stato fatto. A partire dai prossimi mesi, infatti, la domanda di acqua per uso agricolo si aggiungerà agli attuali usi civili e industriali che sono già in sofferenza e il fabbisogno idrico nazionale sarà insostenibile rispetto alla reale disponibilità.
Otto i pilastri, per Legambiente, che devono stare al centro di questa strategia idrica nazionale per dare gambe ad una road map non più rimandabile che abbia come obiettivo la riduzione dei prelievi e degli usi dell’acqua in tutti i suoi settori.
1) favorire la ricarica controllata della falda facendo in modo che le sempre minori e più concentrate precipitazioni permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere velocemente a valle fino al mare;
2) prevedere l’obbligo di recupero delle acque piovane con l’installazione di sistemi di risparmio idrico e il recupero della permeabilità e attraverso misure di de-sealing in ambiente urbano; in agricoltura prevedendo laghetti e piccoli bacini;
3) prevedere interventi strutturali per rendere efficiente il funzionamento del ciclo idrico integrato e permettere le riduzioni delle perdite di rete e completare gli interventi sulla depurazione;
4) implementare il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura attraverso le modifiche normative necessarie;
5) riconvertire il comparto agricolo verso colture meno idroesigenti e metodi irrigui più efficienti;
6) utilizzare i Criteri Minimi Ambientali nel campo dell’edilizia per ridurre gli sprechi;
7) favorire il riutilizzo dell’acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti;
8) introdurre misure di incentivazione e defiscalizzazione in tema idrico, come avviene per gli interventi di efficientamento energetico, per tutti gli usi e per tutti i settori coinvolti.
«Il 2023 è appena iniziato, ma sta mostrando segnali preoccupanti in termini di eventi climatici estremi e livelli di siccità. Bisogna da subito ridurre i prelievi nei diversi settori e per i diversi usi prima di raggiungere il punto di non ritorno. Serve poi adottare una strategia idrica nazionale che abbia un approccio circolare – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – e che permetterebbe di rendere più competitiva e meno impattante l’intera filiera. Non dimentichiamo che la transizione ecologica deve passare anche per il comparto idrico, oggi in forte sofferenza a causa soprattutto della crisi climatica. Una siccità prolungata comporta danni diretti derivanti dalla perdita di disponibilità di acqua per usi civili, agricoli e industriali ma anche perdita di biodiversità, minori rese delle colture agrarie e degli allevamenti zootecnici, e perdita di equilibrio degli ecosistemi naturali. Da non sottovalutare, inoltre, il contributo che la neve apporta all’approvvigionamento idrico. La scarsa copertura nevosa unita alla fusione anticipata delle nevi condizioneranno pesantemente le capacità dei bacini idrografici nei prossimi mesi primaverili e estivi. Per questo è fondamentale prevedere più risorse per il settore idrico, a partire da un miglior indirizzamento di quelle del PNRR. Solo così potremmo evitare di rincorrere le emergenze».
Legambiente ricorda che l’Italia – con oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per tutti gli usi ogni anno – è nel complesso un Paese a stress idrico medio-alto secondo l’OMS, poiché utilizza il 30-35% delle sue risorse idriche rinnovabili, con un incremento del 6% ogni 10 anni. Una tendenza che, unita a urbanizzazione, inquinamento ed effetti dei cambiamenti climatici, come le sempre più frequenti e persistenti siccità, mette a dura prova l’approvvigionamento idrico della Penisola.
Secondo i dati diffusi dallo GIEC (Gruppo Intergovernativo degli Esperti sul Cambiamento Climatico), all’aumento di un grado della temperatura terrestre corrisponde una riduzione del 20% della disponibilità delle risorse idriche.