Nel costante dibattito sugli impatti climatici degli allevamenti, gli scienziati invitano l’UE a modificare il calcolo del metano: il nuovo metodo rende giustizia agli allevamenti.
Il calcolo delle emissioni di metano attuale non è corretto e dovrebbe essere modificato: è questa la proposta degli scienziati di Oxford alla Commissione europea dopo aver valutato con attenzione gli attuali metodi utilizzati e constatato che sono ingiusti nei confronti dell’agricoltura e dell’allevamento degli animali.
Il nuovo modello di calcolo delle emissioni
Attualmente viene preso come riferimento il modello GWP100 (Global Warming Potential 100, potenziale di riscaldamento globale in un intervallo di 100 anni), accettato universalmente e utilizzato anche nell’accordo di Parigi sul clima, ma che non tiene in considerazione le profonde diversità tra i gas serra, come ad esempio tra CO2 e metano.
Nel recente dibattito sulla politica climatica globale è emerso un nuovo modello, il GWP star, che si basa su un articolo pubblicato nel 2018 da un team di scienziati dell’Università di Oxford che evidenzia i difetti e i limiti del modello GWP100, e propone una nuova metrica da adottare, che spiega in modo più preciso i diversi impatti di riscaldamento dei diversi tipi di emissioni.
Come spiega il professor Dave Frame, capo del Climate Change Research Institute presso l’Università Victoria di Wellington, in Nuova Zelanda, il modello GWP100 utilizza un approccio sbagliato che tratta le emissioni di tutti i gas come equivalenti, mentre in realtà diversi gas hanno effetti di riscaldamento diversi, rilevando due tipi distinti di emissioni: gli inquinanti di lunga durata, come l’anidride carbonica, che persistono nell’atmosfera e si accumulano nel corso dei secoli (basti pensare che l’anidride carbonica creata dalla combustione del carbone nel XVIII secolo sta ancora influenzando il clima di oggi), e inquinanti di breve durata, come il metano, che scompaiono entro circa 10 anni.
La CO2 è dunque un gas “stock” che si accumula in modo persistente nell’atmosfera, mentre il metano è un gas “che fluisce”, con un effetto sul clima importante, ma molto diverso da quello della CO2. Secondo gli scienziati, dunque, continuando a tenere come modello di riferimento il GWP100 vengono sovrastimate le emissioni di agricoltura e allevamento, rendendoli ingiustamente colpevoli dell’aumento delle temperature globali.
Diversi scienziati, tra cui il professor Myles Allen, capo del Climate Dynamics Group presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Oxford, il cui team è stato determinante nello sviluppo del modello GWP star, stanno ora esortando l’Europa ad adottare una politica climatica globale che spieghi più equamente le differenze tra i diversi tipi di emissioni. Il professor Allen afferma che il metodo GWP 100 sottovaluta di un fattore quattro l’impatto del riscaldamento delle nuove fonti di metano nei primi 20 anni dopo l’aumento, e sovrastima di un fattore quattro l’impatto del riscaldamento del metano costante.
“Avendo deciso di puntare alla neutralità climatica, l’Europa ha una scelta semplice da fare: definire la neutralità climatica in termini di emissioni metriche equivalenti o in termini di emissioni equivalenti al riscaldamento”, scrive il dottor Allen: “Raggiungere la neutralità climatica in termini di emissioni metriche equivalenti potrebbe significare la distruzione di pratiche fondamentali, come l’allevamento dei ruminanti, che in realtà non causano il riscaldamento globale”.
Le emissioni di metano provenienti dai bovini
Anche il dottor Pep Canadell del CSIRO, che ha collaborato con il dottor Allen, ha riconosciuto che le emissioni di metano provenienti dai bovini fanno parte di un ciclo biogenico del carbonio e dove le mandrie di bestiame sono costanti o in diminuzione non aggiungono nuovo carbonio all’atmosfera: “Avere mandrie di bestiame costanti non aumenterebbe il riscaldamento globale oltre quello attuale, anzi lo manterrebbe costante. Se il numero di bovini scende, allora anche quel contributo complessivo al riscaldamento scende.”
Il dottor Frank Mitloehner dell’Università della California Davis, il cui campo di studio è l’allevamento del bestiame ed il suo rapporto con il cambiamento climatico, si è espresso più volte in merito, esortando i responsabili politici europei a riflettere attentamente sull’uso della convenzione GWP100 per il metano: “Il GWP 100 è stato creato dagli scienziati negli anni ’90 per standardizzare l’impatto di ogni gas serra al fine di fare confronti e cercare di capire questo ‘colosso’ chiamato riscaldamento globale. È così diventata da allora una convenzione ben nota e accettata, utilizzata per guidare la politica e i regolamenti volti a limitare il riscaldamento, ma misura semplicemente l’equivalenza in biossido di carbonio del metano (CO2e), trascurando come si comporta e come riscalda l’atmosfera. Ecco perché quando bisogna misurare il potenziale di riscaldamento globale, sono d’accordo con i ricercatori dell’Università di Oxford, fautori di un sistema rivisto e più accurato per misurare il potenziale di riscaldamento effettivo degli inquinanti climatici di breve durata, che considerando le emissioni equivalenti al riscaldamento reale, renderebbe finalmente giustizia al settore zootecnico”.
Gli scienziati sono dunque convinti che gli obiettivi di “neutralità climatica” a cui si punta entro la metà del secolo possono essere raggiunti senza distruggere l’allevamento del bestiame, che non è la principale causa del cambiamento climatico: “Molti scienziati che lavorano all’interno del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) hanno già valutato e accertato che il GWP star fornisce una migliore indicazione dell’impatto dei gas serra sulla temperatura globale rispetto al GWP100”.
Tuttavia il dibattito è ancora vivo e controverso, in quanto occorre ripensare tutta la politica attuale in materia di metano e anche il Cattle Council dell’Australia chiede attivamente una valutazione scientifica completa dei due modelli GWP 100 e GWP star affinché quest’ultimo venga convalidato con urgenza: “Questa dovrebbe essere una discussione aperta e pubblica, perché le implicazioni per l’agricoltura e l’allevamento del bestiame sono profonde. Definire la neutralità climatica in termini di emissioni equivalenti al riscaldamento risolve il problema”, conclude Allen.