Le quote rosa nell’imprenditoria agricola stanno acquistando sempre più rilievo già da qualche decennio, tanto che le aziende gestite da donne, in linea generale, sono una tipologia imprenditoriale che impatta in maniera importante nell’area metropolitana milanese: sono 51.404 le attive, pari al 17,5% del totale. In Lombardia sono in totale 154.265 mentre in Italia se ne registrano 1.153.435 (dati 2015).
E se al Nord la motivazione dello sviluppo delle imprese al femminile rappresenta evidentemente una risposta alla mancanza di soluzioni occupazionali nonché una strategia per conciliare lavoro e famiglia, al sud spesso si tratta di proseguire una tradizione familiare.
«L’aumento delle imprese agricole condotte da donne è ormai un fatto consolidato. Campania e Sicilia in particolare sono le due regioni che presentano un numero considerevole di aziende agricole gestite da donne. Mentre in Italia la media è del 34/35%, in Campania e Sicilia oltrepassiamo il 40%. Dall’ultimo censimento del 2010 a oggi si evince un aumento di circa il 5%, e proprio in chiave femminile», dichiara Giuseppe Santoianni, Presidente di AIC-Associazione Italiana Coltivatori.
Le imprese rosa nel 2015 hanno registrato un’ottima prestazione, con un aumento della propria base del 2,1%, dato superiore sia al totale milanese (+1,6%) sia alle aree territoriali di confronto, che pure hanno avuto performance di segno positivo (Lombardia +1%; Italia +0,4%).
Anche sul piano della natalità è stato significativo il contributo di questa compagine, con un quinto delle iscrizioni totali nell’area metropolitana e con un saldo positivo che sfiora le 1.400 unità. Dal punto di vista organizzativo, le donne scelgono ancora in maggioranza la natura giuridica della ditta individuale (52%), ma rilevanti sono anche le forme societarie (in totale il 45,2%), in particolare le società di capitale, che rappresentano quasi un terzo del totale e che sono quelle cresciute di più rispetto al 2014 (+4,1%).
Dato ancor più significativo riguarda le aziende agricole, in forte ascesa: in Lombardia oggi sono 718 quelle guidate da donne e, dato molto interessante, il 12,4% delle imprese femminili milanesi ha in prevalenza soci/titolari under 30; il 17% è di nazionalità straniera.
«Sono in aumento anche le giovani imprenditrici con una formazione rilevante, laureate o diplomate nel settore agrario, o addirittura diplomate in altri settori ma che ritornano alla terra. Sarebbe poi certamente interessante verificare se il potere decisionale nelle aziende gestite dalle donne nel sud Italia sia effettivamente nelle mani delle donne – prosegue Santoianni, che precisa – Ci si arriva un po’ per deduzione: in molti paesi spesso il marito ha un impiego statale e la moglie, a partita IVA, gestisce la piccola azienda agricola famigliare, che altrimenti verrebbe lasciata andare, in veste di venditore agricolo professionale o titolare di azienda. In quest’ultimo caso si tratta certamente di aziende più strutturate».
Il successo imprenditoriale femminile negli ultimi anni ha evidenziato un legame molto forte con aziende legate alla natura: «In generale le donne, dal nord al sud, hanno una particolare tendenza a rischiare di più rispetto agli uomini, non da un punto di vista finanziario ma di iniziativa. Molte diventano imprenditrici agrituristiche, aprono piccoli laboratori per trattare i loro prodotti, dalle marmellate, al piccolo salumificio, al pastificio. Le nuove produzioni contemplano anche lo yogurt e le erbe aromatiche».
Le imprese femminili in Lombardia occupano 133mila addetti, pari al 7,1% del totale milanese e a oltre un terzo degli occupati delle stesse aziende presenti in Lombardia. Sono generalmente di piccola dimensione: il 94,6% ha meno di nove addetti; solo lo 0,7% più di 50 addetti. Dal punto di vista settoriale, prevalgono i servizi (58,7%), in particolare le attività immobiliari, l’hospitality e i servizi professionali; significativo il peso del commercio, con un quarto delle donne operanti. Meno attive nei settori più tradizionalmente maschili, come la manifattura (solo l’8,5% del totale) e le costruzioni (4,5%).
«Sono invece ancora in netta minoranza le donne titolari di aziende zootecniche ad indirizzo lattiero caseario. In alcune realtà, Sardegna in testa, esistono invece cooperative quasi esclusivamente al femminile che, per valorizzare la produzione del latte ovino, molto importante in quelle aree, hanno realizzato strutture rilevanti. Storicamente, in regioni come la Sardegna, la produzione del formaggio era appannaggio delle donne, quindi mettersi insieme è stata una naturale conseguenza, oltre che una necessità. Infine non dimentichiamo le donne dell’olio e le donne del vino, dalla Sicilia, alla Campania, alle Marche, sempre più influenti e riconosciute anche a livello internazionale», conclude Santoianni.