Frutto tropicale di tendenza, dal delizioso sapore esotico, l’avocado è considerato un “superfood” per le sue proprietà nutrizionali. Di colore verde brillante, ha una consistenza burrosa, tanto da venire utilizzato in alternativa al burro, anche grazie al buon contenuto in grassi insaturi. Così come la quinoa, però, nasconde un rovescio della medaglia: gli impatti della sua produzione non sono sostenibili per l’ambiente e in gran parte del Centro e Sudamerica la monocoltura intensiva di avocado è causa di deforestazione e perdita di biodiversità.
di Leonardo Bianchi
Il Messico è uno dei principali produttori ed esportatori, con il 40% del mercato, insieme a Perù e Cile. Ma l’avocado è ormai prodotto anche in Repubblica Dominicana, Colombia, Indonesia, Kenya e California, dove è concentrato il 90% della produzione degli Stati Uniti. Secondo il rapporto dell’Instituto Nacional de Investigaciones Forestales, Agricolas y Pecuarias, in quasi un decennio (2001-2010) per soddisfare la crescente domanda, specialmente in Europa, la produzione di avocado è triplicata e le esportazioni sono aumentate di 10 volte: in tutta l’America centrale e meridionale l’aumento della domanda di avocado dall’estero ha causato la perdita di 690 ettari all’anno di terre vergini convertite in piantagioni.
“Per produrre 2 o 3 frutti,
di medie dimensioni,
occorrono 272 litri di acqua”
E considerando che per raggiungere l’Europa e l’Italia gli avocado devono viaggiare da una parte all’altra del mondo (generalmente per oltre 10.000 km), l’impatto ambientale del trasporto in termini di consumo di petrolio, emissioni di anidride carbonica e inquinamento atmosferico è preoccupante. Per non parlare dei consumi idrici: secondo i calcoli degli studiosi M. Mekonnen e A. Hoekstra dell’Università di Twente, nei Paesi Bassi, per produrre solamente 2 o 3 frutti di medie dimensioni occorrono ben 272 litri di acqua, mettendo sotto pressione zone già aride e dall’approvvigionamento idrico difficoltoso.
Impatti sociali della coltivazione di avocado
La sua produzione non solo impoverisce e deteriora l’ambiente ed il territorio, ma anche la vita sociale, in quanto ormai molte persone nei luoghi di produzione lavorano in condizioni non ottimali e con ritmi ed orari prossimi allo sfruttamento solo per produrre “l’oro verde”. In origine fonte di guadagno e opportunità di arricchimento per interi Paesi, la produzione di avocado ha però attirato le attenzioni anche dei narcos e della criminalità organizzata. Con un valore di 815 milioni di dollari l’anno e migliaia di posti di lavoro, all’entrata della città di Tancitaro in Messico, è stato dedicato addirittura un monumento gigante a forma di avocado che simboleggia l’importanza economica di questo frutto per la popolazione, rivelatasi però un’arma a doppio taglio.
Oltre a un disboscamento in gran parte incontrollato e illegale, con l’abbattimento di pini secolari per far spazio alle piantagioni e alla perdita di biodiversità, anche l’abbondante uso di fertilizzanti chimici a basso costo e non sempre adeguati agli standard europei va a peggiorare la situazione inquinando il suolo, l’aria e le riserve idriche e mettendo in pericolo la fauna selvatica di quegli habitat un tempo incontaminati: coyote, puma, uccelli rari e le famose farfalle monarca che ogni inverno danno spettacolo con la loro incredibile migrazione sono costretti a spostarsi per non morire.
L’avocado sostenibile
Ma c’è un modo per non rinunciare a questo frutto nutriente e dalle ottime proprietà salutari e consumarlo in modo sostenibile?
Se è quasi impossibile trovarlo a km zero, si può comunque optare per una provenienza più vicina, in modo da ridurre gli impatti sull’ambiente: in Spagna, Grecia e nelle nostre Sicilia e Sardegna sembrano infatti esserci le condizioni climatiche adatte per coltivare avocado, che cresce bene in un clima tropicale o sub-tropicale.
In particolare in Sicilia, in alcune aree vicino all’Etna sono stati dedicati già 260 ettari alla produzione biologica e sostenibile dell’avocado, con grande soddisfazione dei produttori, che fertilizzano naturalmente i terreni grazie al letame delle pecore che pascolano liberamente, azzerando l’uso di fertilizzanti chimici e pesticidi e confermando ancora una volta l’importanza della sinergia tra agricoltura e allevamento per l’ambiente.
La realtà siciliana ovviamente non è in grado di poter sostenere l’intera domanda italiana, ma può essere un esempio virtuoso di qualità da applicare al sistema intensivo-industriale del Sudamerica. Come espresso anche da José Graziano da Silva, Direttore Generale della FAO, occorre pianificare colture adeguate in termini ambientali, economici e sociali, e trasferire nuove tecniche per coltivare in maniera ragionevole e sempre più integrata. Per evitare degrado ambientale e deforestazione, ma anche per sottolineare la necessità di innovare i sistemi alimentari e di diversificare la produzione agricola. Concentrarsi sulle monoculture in maniera esclusiva risulta infatti dannoso per gli ecosistemi locali e globali.
Anche supermercati come Migros, Aldi e Lidl si stanno impegnando in progetti volti a proporre nei prossimi anni sempre più frutta esotica europea anziché americana, per ridurre l’impatto ambientale di CO2 dei trasporti, per una produzione sostenibile e per il rispetto di standard etici, impegnandosi insieme ai fornitori per la promozione di metodi di coltivazione rispettosi del clima e delle risorse.