L’Arsenale de La Spezia della Marina Militare è stato condannato a risarcire 300 mila euro ai due figli di un operaio morto per un tumore polmonare contratto per aver respirato fibre di amianto negli anni Sessanta.
Lo ha deciso il giudice del lavoro Gabriele Romano con un verdetto che rappresenta un precedente assoluto.
L’uomo lavorò in un capannone dell’Arsenale, situato vicino a Porta Marola, percorso da tubi di riscaldamento fasciati da amianto che si sfaldava, sembra anche a causa dei topi, oltre che per il logoramento naturale.
Nel 2007, a distanza di 40 anni da quell’esposizione, gli fu diagnosticato un tumore ai polmoni che nel giro di pochi mesi lo portò alla morte, all’età di 68 anni.
L’avvocato Roberto Quber, nominato dalla famiglia del defunto, ha sostenuto, a ragione secondo il giudice, che il tumore fosse causato dall’amianto respirato. Il giudice ha nominato un perito medico legale che, esaminati i documenti sanitari, ha dato ragione al legale del lavoratore.
L’avvocatura dello Stato, che difendeva la Marina Militare, aveva invece sostenuto l’assenza di responsabilità del datore di lavoro, in quanto negli anni Sessanta nessuno sapeva che l’amianto fosse cancerogeno.
In realtà i primi studi sulla tossicità dell’amianto risalgono agli inizi del Novecento, come è stato dimostrato anche in numerosi procedimenti giudiziari.