Ogni 54 km di costa italiana c’è un punto inquinato da scarichi fognari non depurati. Questi i dati poco confortanti del consueto monitoraggio di Goletta Verde, l’imbarcazione di Legambiente che ogni anno testa lo stato di salute delle nostre coste. Quasi tutti i punti maggiormente inquinati, l’88%, sono in corrispondenza di foci di fiumi, canali, scarichi. La Regione con il numero maggiore di siti inquinati è la Campania (20), seguita dalla Calabria (18) e Sicilia (17), poi Lazio e Liguria (16). Le situazioni più critiche si trovano nelle Marche e in Abruzzo, regioni penalizzate anche dall’elevato numero di corsi d’acqua che sfociano in mare, e in Calabria, interessata nelle ultime settimane da diverse proteste da parte delle comunità locali per “mare sporco” e da interventi delle forze dell’ordine per irregolarità nella depurazione. Si distinguono positivamente la Sardegna e la Puglia, con poche criticità. In alto Adriatico la situazione migliore si registra in Veneto.
E il dato negativo è proprio la stabilità della situazione. Nè peggiorata, fortunatamente, ma neanche migliorata. Nulla, cioè, è cambiato dopo i moniti e le preoccupazioni degli anni scorsi. I punti che risultavano essere i più inquinati negli ultimi 5 anni, si sono confermati in una continuità molto preoccupante.
“Purtroppo i risultati deludenti in prossimità di foci, fossi e canali non ci sorprendono – commenta Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – dal momento che il problema riguarda non solo le aree costiere ma interessa gran parte del territorio nazionale. Nonostante siano passati 11 anni dalle scadenze previste dalla direttiva europea sulla depurazione, l’Italia, infatti, è ancora in fortissimo ritardo. Circa il 25% della popolazione non è coperta da un adeguato servizio di depurazione e un terzo degli agglomerati urbani a livello nazionale è coinvolto da provvedimenti della Commissione europea. Sul nostro Paese pesano già due condanne e una terza procedura d’infrazione. Oltre i costi ambientali, ci sono inoltre quelli economici a carico della collettività: a partire dal 2016, il nostro Paese dovrà pagare 480 milioni di euro all’anno, fino al completamento degli interventi di adeguamento”.
Goletta Verde ha viaggiato per due mesi percorrenedo tutta la costa italiana dalla Liguria al Friuli Venezia Giulia e prelevando campioni di acqua in 265 punti, uno ogni 28 km di costa. I punti di prelievo sono stati selezionati grazie al lavoro dei circoli di Legambiente e alle segnalazioni dei cittadini attraverso il servizio SOS Goletta. “Durante l’estate abbiamo ricevuto centinaia di segnalazioni di mare sporco da parte dei bagnanti grazie al servizio Sos Goletta – racconta Serena Carpentieri, responsabile Campagne di Legambiente – Le persone sono spesso disorientate, non sanno a chi rivolgersi per denunciare casi di inquinamento, dove consultare i dati ufficiali, come capire se stanno facendo il bagno in acque sicure e controllate. È indispensabile che il Ministero della Salute istituisca un numero verde per raccogliere le segnalazioni di cittadini e turisti e avvii, in collaborazione con le Regioni e gli enti locali, una chiara campagna informativa. Infine, non è più tollerabile l’assenza di cartelli di divieto di balneazione nelle aree dove non si può fare il bagno e i cartelli informativi sulla qualità delle acque. L’accesso all’informazione è un diritto di cittadini e turisti e un dovere per le autorità competenti e per tutti i comuni costieri, cosi come previsto dalla normativa sulla balneazione”.
Il monitoraggio di Legambiente ha l’obiettivo di rilevare e denunciare la presenza di scarichi non depurati che continuano a riversarsi in mare e non vuole sostituirsi a quello delle autorità preposte ai controlli sulla balneazione. Proprio per questo, i prelievi sono concentrati nei punti critici: foci di piccoli e grandi corsi d’acqua, di fossi, canali e scarichi, che costituiscono i principali veicoli dell’inquinamento da batteri fecali in mare, dove sussiste il “maggior rischio” di contaminazione. I parametri indagati sono microbiologici (enterococchi intestinali, escherichia coli) e vengono considerati come “inquinati” i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto del ministero della Salute del 30 marzo 2010) e “fortemente inquinati” quelli che superano di più del doppio tali valori.
Tra le foci di fiumi, i fossi e i canali monitorati da Legambiente nel 2016 1 su 3 non viene campionato dalle autorità competenti perché si tratta di luoghi non adibiti alla balneazione stando ai profili di costa redatti a inizio stagione da Regioni e Comuni. Spesso, però, sono frequentati dai bagnanti perché mancano i cartelli di divieto di balneazione, a cui dovrebbero provvedere i Comuni: assenti nell’74% dei punti visitati dai tecnici di Goletta Verde.
Ancora peggiore il dato sulla presenza dei cartelli informativi in spiaggia, che hanno la funzione di divulgare al pubblico la classe di qualità del mare (in base alla media dei prelievi degli ultimi quattro anni), i dati delle ultime analisi e le eventuali criticità della spiaggia stessa. Secondo la normativa, i Comuni costieri sono obbligati ad apporli ormai da due anni ma i tecnici di Goletta Verde li hanno avvistati solo nel 5% dei casi.
Ma cosa c’è nelle nostre acque e chi ne sono i responsabili? Va evidenziato, a questo proposito, che ad accomunare tutti i 265 luoghi esaminati da Goletta Verde è l’inquinamento da rifiuti, che arriva dai fiumi, dal mare e da terra. Solo nel 14% di questi non è stata rinvenuta spazzatura che, molto spesso, invece, si accumula in vere e proprie discariche in mezzo alla sabbia. Quasi sempre plastica, ma non mancano rifiuti derivanti da un’inefficiente depurazione da parte degli enti; le foci dei corsi d’acqua e i canali portano con sé non solo batteri ma anche rifiuti solidi buttati nel wc e che per mancata depurazione o scarichi illegali arrivano sulle spiagge. Cotton fioc, assorbenti, blister, addirittura deodoranti da wc che sono stati ritrovati nei pressi dei punti di campionamento nel 18% dei casi. E non è un caso che nell’83% di questi luoghi siano state riscontrate cariche batteriche oltre la norma, derivanti dalla stessa cattiva depurazione.
Come al solito, la causa è da ricercare in noi stessi, nei nostri comportamenti irresponsabili e non consapevoli, nonostante negli ultimi trent’anni sia aumentata di molto la sensibilità nel nostro Paese nei confronti delle azioni possibili di tutela e valorizzazione della risorsa mare. E’ evidente, però, che la strada è ancora lunga.