1,2 milioni di vite. Donne, uomini, lavoratori, sognatori, madri, genitori. Immaginate tutte queste vite spezzate dai combustibili fossili. Sono troppe da visualizzare? Provate con 20mila. Una piccola cittadina di provincia. Tante persone infatti potrebbero essere salvate, ogni anno, se solo l’Europa adottasse una politica energetica fondata al 100% su energie rinnovabili. Quasi un milione se la Cina invece riuscisse a decarbonizzarsi entro il 2050. Dati spaventosi.

A rivelarlo uno studio pubblicato dal NewClimate Institute, un centro di ricerca con sede a Cologna, Germania, per mostrare gli impatti dell’inazione da parte degli Stati membri dell’ONU per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra all’interno del quadro sui negoziati Onu.

Impianto estrazione sabbie bituminose in Alberta ©Bompan
Impianto estrazione sabbie bituminose in Alberta ©Bompan

Lo studio analizza due scenari: uno “business as usual”, termine tecnico per indicare nessuna azione intrapresa, e uno dove si intraprendano azioni volontarie, stato per stato, all’interno del quadro dei negoziati del clima.

Secondo l’analisi, l’inazione costerebbe almeno 1,2 milioni di morti l’anno a livello globale. Un ecatombe di vittime, superiore ad un epidemia di larga scala o alle guerre a bassa intensità in Medio Oriente.

Morti anche banali, come l’inquinamento indoor.
Solo in Europa, eliminando le emissioni inquinanti, si salverebbero 6mila persone da malattie respiratorie derivate dall’inquinamento di ambienti interni. Questo, se solo si riuscisse a mantenere l’obiettivo proposto dalla EU di ridurre del 40% le emissioni al 2030. In Cina sono oltre 100mila, altrettanti in Africa e nei paesi in via di sviluppo.

Tra i benefici, lo studio di NewClimate Institute non annovera solo quelli legati alla salute. Risparmi economici e opportunità di lavoro sarebbero a disposizione qualora gli stati adottassero concretamente gli INDC, i piani di riduzione emissioni proposte all’interno della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico ONU, che in questi giorni si è radunata a Bonn in vista del Summit sul Clima di Parigi. Il nostro continente risparmierebbe ben 33 miliardi di dollari di import di petrolio dall’estero, producendo oltre 70mila posti di lavoro. In Usa? I nuovi impiegati sarebbero ben oltre 470mila.

Negli ultimi anni gli impatti del cambiamento climatico sulla salute e sicurezza umana sono diventati materia di studio, analizzata da numerosi modelli geo-statistici realizzati da centri di ricerca in tutto il mondo. Secondo gli esperti non si tratta solo di “mal’daria”. Alle emissioni tossiche vanno anche aggiunte le fatalità legate agli eventi estremi del cambiamento climatico.
Già quest’anno il caldo record ha ucciso decine di migliaia di persone nel mondo. A causa delle ondate di caldo dell’estate 2015, oltre 1.200 persone sono morte in Pakistan, mentre in India a fine agosto erano oltre 2.500. In molte zone le temperature hanno superato le medie di vari gradi centigradi.

«Questa non è una tradizionale ondata di caldo. Questo è l’effetto del cambiamento climatico»

ha dichiarato il ministro dell’ambiente indiano, Harsh Vardhan.

In aumento anche i morti per alluvioni e per “extreme weather”, fenomeni metereologici fuori dall’ordinario. Nei primi sei mesi dell’anno oltre 400 persone sono morte per gli effetti di piogge.
L’organizzazione non governativa spagnola, DARA, ha divulgato numeri ancora più spaventosi. Se, entro il 2030, non si decide di agire tempestivamente, riducendo le emissioni, potrebbero morire oltre 100milioni di persone in tutto il mondo. Più della seconda guerra mondiale. Revisioni dello studio hanno però ridimensionato le stime. Secondo una verifica della Harvard School of Public Health, è più facile che il numero di morti al 2030 legati al cambiamento climatico si attestino intorno ai 10-12 milioni.
Difficile però usare in questa frase l’aggettivo “solo”.